A differenza del “Capitale circolante”, concetto noto e relativamente semplice da quantificare nell’analisi di bilancio, il “Fabbisogno di capitale circolante” che emerge nell’ambito della valutazione dei progetti d’investimento dell’economia reale è decisamente più complesso. Non si tratta di una differenza solo terminologica, ma sostanziale.
Le difficoltà di analisi aumentano soprattutto nei progetti produttivi, dove entra in gioco il fenomeno della cosiddetta “salita a regime” o dell’“anno di regime”. In questi casi, la stima delle variazioni quantitative del fabbisogno di circolante richiede una particolare attenzione all’andamento pluriennale della gestione operativa del progetto. È una dinamica che si evolve nel tempo e che non può essere colta con uno sguardo statico.
Per questo motivo, l’economia dello sviluppo considera il fabbisogno di capitale circolante come una componente vera e propria del costo d’investimento. E non a caso lo inserisce tra gli elementi da coprire con “capitali permanenti”, ovvero con risorse finanziarie strutturate per sostenere l’impresa in modo stabile e continuativo